Vivere, secondo il Buddismo, è soffrire, morire vuol dire anche rinascere e tornare a soffrire. Il ciclo della vita, quello della morte e della reincarnazione prendono il nome di Sansara, qualcosa di inesorabile e senza fine che viene chiamato anche ruota del divenire.
Secondo il Buddismo il sollievo avviene solamente attraverso l’illuminazione interiore, ovvero la consapevolezza dell’unità universale di tutte le cose del creato. L’illuminazione è anche la porta attraverso la quale si accede al Nirvana, il mezzo utilizzato per arringere l’unità delle cose.
Secondo i dogmi del buddismo la sofferenza arriva dall’autocoscenza dell’Io e dall’illusione di essere un Io distinto dal resto delle cose. Gli individuo DETERMINANO il proprio destino creando, azione dopo azione, il loro Karma, che governa il processo di illuminazione della vita.
Il viaggio che si intraprende può durare molte vite, una dopo l’altra utilizzate per arrivare a stati più alti di esistenza. La meta è raggiungere l’illuminazione, quello stato di grazia supremo in cui tutto ha una spiegazione. La storia del Buddismo è molto lunga, circa 2.500 anni e in questo periodo, venendo a contatto con altre religioni locali, in alcune regioni si è mescolata ad altre, ma l’obiettivo rimane sempre lo stesso: passare attraverso il ciclo delle vite per migliorare sempre di più.
Il Buddismo insegna che la morte non è nient’altro che la naturale progressione dell’anima e che tra una vita e l’altra c’è il Bardo, un regno intermedio tra la morte e la rinascita. Nel libro dei Morti viene descritto cosa vi si trova. In genereun lama lo legge ai vecchi, per prepararli.
Mentre c’è un arte del vivere, c’è anche un’arte di morire e se si affronta la morte con coraggio ci si prepara meglio alla prossima rinascita, garantendosi un’esistenza migliore. Certo non sono pensieri facili, ma considerare che la morte ci porta via solamente un corpo e non l’intera esistenza, forse può darci una sensazione di continuità e dare un senso diverso all’esistenza umana.
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