Inferno in terra? A quanto pare secondo alcuni pensatori vissuti a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, questo luogo dove le anime scontavano i propri peccati si trovava, tra i tanti luoghi, anche nei pressi dell’Etna.
Etna inferno per anime dannate
Prendiamo in analisi per prima cosa quello che pensava il poeta Arturo Graf: studioso del periodo medievale, aveva riportato presso i suoi pari che gli stessi pensavano che vi fosse, tra i diversi livelli d’inferno una vera e propria dimensione terrena. In poche parole le anime dei peccatori non venivano tenute all’interno del di quella dimensione eterea raccontata anche dalle Scritture, ma erano spedite al di fuori della stessa in specifici luoghi del mondo, caratterizzati da tenebra.
Questi posti erano di solito collegati al tipo di pena che le anime dovevano scontare e per quel che riguarda l’Etna vi sarebbero i racconti di un certo Stefano di Borbone, raccolti da Graf stesso, che parlerebbero dei fantasmi che era possibile incontrare nei pressi del vulcano, ectoplasmi persi nello spendere la loro pena.
L’uomo era convinto che nelle vicinanze del cratere centrale del vulcano si vedessero dei fantasmi impiegati nella costruzione di un castello di dimensioni importanti. Il loro aspetto incuteva timore e queste “ombre” erano molto brutte a vedersi per l’occhio umano. Esse lavoravano senza sosta ed era possibile sentire borbottii incomprensibili mentre si muovevano a capo chino.
Un castello che crollava appena finito
I racconti di Stefano di Borbone divennero molto presto noti nelle zone circostanti e quindi molti nei paesi credettero che la Bocca dell’Etna fosse un luogo dove abitavano esseri mostruosi. Leggenda vuole che un gruppo di uomini si fece coraggio per vedere direttamente se si raccontasse la verità su questo inferno in terra: al loro ritorno parlarono di un castello imponente costruito in pietra nera con fantasmi attorno impiegati nella sua costruzione. Si racconta ancora, tradizionalmente, che il castello crollò su se stesso appena posta l’ultima pietra, costringendo le anime a ricominciare da capo.
Una vera e propria maledizione che si ripeteva ogni qualvolta si arrivava alla fine della struttura. Un simile racconto è riscontrabile anche da Alberico delle Tre Fontane, un “giornalista” francese vissuto cavallo il Millecento e il Milleduecento. All’interno di uno dei suoi testi era possibile leggere come le “anime dei dannati erano quivi portate quotidianamente a bruciar le fiamme e a pagare per i propri misfatti”. Racconti non troppo differenti vengono ricollegati anche a Gregorio Magno, il quale sosteneva che anche l’anima di Teodorico fosse tra quelle intrappolate nell’Etna.
Tra i racconti che vengono passati di generazione in generazione vi è anche quello del cittadino che vide l’anima di Papa Giovanni gettare il re degli Ostrogoti dentro la bocca dell’Etna.