Innamorato della poesia greca, Giacomo Leopardi studiò da auto didatta la lingua straniera, grazie a questi studi venne in possesso di un Inno dedicato a Nettuno il cui autore è ancora oggi sconosciuto. In una lettera scritta il 30 maggio 1817, indirizzata al suo amico Giordani, scrisse, a tal proposito:
“Dando al pubblico, per vostro comandamento, la traduzione del bell’Inno da voi scoperto, a voi lo intitolo, o mio diletto amico, che avete in certa guisa voluto donarmelo e farlo mio. Moltissimo rallegromi di potere con questo mezzo fare aperto che noi ci amiamo veramente, e che se non il vostro, certo l’amor mio è bel collocato. Avete voluto che tacessi il suo nome, ed io vi obbedisco per ora; ma non so se potrò farlo, ove esso non appaia in fronte all’Opera vostra che io prometto ai letterati in questa piccola mia.”
“Lui che la terra scuote, azzurro il crine,
A cantare incomincio. Alati preghi
A te, Nettuno re, forza è che indirizzi
Il nocchier fatichevole che corre
Su veloce naviglio il vasto mare,
Se campar brama dai sonanri flutti
E la morte schivar: chè a te l’impero
Del pelago toccò, da che nascesti
Figlio a Saturno, e al fulminante Giovedì
Dal vago crin di Saturno astuto Nume
Gli sguardi paventava. Ella discese
A la selvosa terra, il petto carca
D’acerba doglia, e scolorite avea
Le rosee guance. Mentre il sole eccelso
Ardea sulle montagne i verdi boschi,
E sul caldo terren s’abbandonava
L’agricoltor cui spossatezza invaso
Avea le menbra (poi che di Semele
Dal sen ricolmo nato ancor non era
Il figlio-alti-sonante, ed a gl’industri
Mortali sconosciuto era per anche
Il vin giocondo che vigore apporta).
Ella s’assise all’ombra, e come uscito
Fossi del suo grand’alvo, ti rispose” …