Diogene di Sinope: Era un filosofo greco del IV secolo a.C. discepolo di Aristene, considerato il fondatore della scuola cinica, di cui fu comunque il rappresentante più famoso, soprattutto perché ne indicò praticamente l’ideale di vita. Sulla sua figura si sono concentrati molti elementi leggendari: di fatto nessuna delle ventuno opere menzionate da Diogene Laerzio ci è rimasta, e si hanno testimonianze certe per la sola Repubblica, in cui pare difendesse il cannibalismo e l’incesto. La stessa biografia, ancora di Diogene Laerzio, non consente di uscire dalla aneddotica, da cui si deduce che D. vagabondò per tutta la Grecia, incarnando un modello di ascetismo razionale ed utilitaristico, in difesa ostentata del naturale contro qualsiasi artificiosità. Disprezzò infatti ogni convenienza sociale, vivendo conformemente al principio che il saggio deve saper fare a meno di ogni agio, riducendo al minimo i bisogni. Secondo la testimonianza di Aristotele, per la sua particolarità di fare tutto in pubblico gli fu attribuito il soprannome di cane.
Dioscuri: I gemelli, figli di Zeus, di nome Castore e Polluce. Zeus, in forma di cigno, li aveva generati con Leda, moglie di Tindaro, re di Sparta, sotto la cima del Taigeto. Si parlava di due uova gemelle, da uno dei quali sarebbero nati i Dioscuri., e dall’altro Elena con la gemella Clitennestra. I D. ebbero largo culto in tutto il Peloponneso, ma soprattutto in Laconia ed in Messenia, dove erano considerati divinità nazionali. Castore, valente domatore di cavalli, e Polluce, buon pugilatore, compivano le loro imprese sempre insieme, ed aiutavano gli uomini specie nel corso di combattimenti, e nei pericoli del mare. Compirono molte imprese, ma la più celebre di tutte è il ratto delle Leucippidi, durante il quale Castore venne ucciso. Polluce chiese allora al padre di morire a sua volta, ma Zeus gli diede una scelta: abitare da allora nell’Olimpo oppure stare con Castore un giorno sotto terra ed un giorno presso gli dei. Polluce scelse quest’ultima alternativa, e da allora essi abitano nella dimora oscura quando non godono della luce del cielo. I D. entrarono poi a far parte anche della mitologia romana con il nome di Castori (Castores) e, secondo una leggenda, guidarono i Romani alla vittoria nella battaglia del lago Regillo (499 a.C.). In Italia erano considerati protettori dei marinai, del commercio, dei viaggi e dell’ospitalità. Nell’antichità si è tentato di spiegare la leggenda secondo la quale i D. si alternavano la vicenda della vita e della morte, basandosi sul fatto che nel segno dello Zodiaco dei gemelli, nel quale essi sarebbero stati tramutati, quando una delle due stelle appare nel cielo, l’altra si nasconde dietro l’orizzonte. Anche la protezione che si attribuiva loro sui marinai in pericolo, era legata ad un avvenimento prodigioso, secondo il quale, quando gli Argonauti levarono l’ancora dal promontorio Sigèo, si sarebbe levata una terribile burrasca, improvvisamente cessata all’apparire nel cielo di due misteriosi fuochi, che si sarebbero posati sul capo dei D. tali fuochi furono poi chiamati i fuochi di Castore e Polluce, e la loro apparizione sarebbe stata salutata come presagio di bel tempo: se invece ne appariva uno solo, chiamato fuoco di Elena, si poteva essere certi che si sarebbe scatenata una tempesta. Nell’iconografia diffusa dal VI al IV secolo a.C. con l’ellenismo, si afferma la rappresentazione più corrente dei D., con clamide svolazzante ed alla guida di un cavallo. Hanno spesso il pilos, un copricapo di forma conica, per cui sono associati alle divinità cabiriche. Erano sempre uniti, sotto forma di bellissimi giovani, talvolta nudi come gli atleti dei giochi olimpici, appoggiati l’uno all’altro. In loro onore si facevano molti sacrifici. Quando s’implorava un vento favorevole alla navigazione, s’immolavano loro cavalli bianchi, mentre per scongiurare la tempesta, si sacrificavano agnelli neri. Erano annoverati fra gli dei minori, ed era loro dedicato un tempio a Sparta, dove si conservavano le loro tombe, ed un altro ad Atene, che essi avrebbero liberata dai pirati che la infestavano; così pure a Cefalonia, dove si professava loro una grande devozione; ed in molte città Della Grecia e dell’Italia. La loro immagine trovò larga diffusione nei sarcofagi romani del III secolo d.C., collegati a simbologie funerarie. A Torino si possono ammirare le loro statue a cavallo, collocate ai margini dell’alta cancellata che delimita la piazzetta della residenza reale, nella centralissima piazza Castello.
Dite: Divinità laziale, figlio di Saturno e di Ops, corrispondente al dio Plutone. Con Proserpina D. era il signore degli Inferi. In Roma si celebravano in suo onore i ludi saeculares, che ebbero particolare splendore sotto l’imperatore Augusto. Nella Commedia dantesca la Città di D. corrisponde ai cerchi VI-IX che comprendono eretici, violenti, frodolenti (Malebolge) e traditori.