Elcasaiti: seguaci di una setta gnostica giudeo-cristiana sorta nel II secolo d.C. sulle sponde del Mar Morto, in ambiente aramaico. Sono anche detti Elchesaiti, Elcesaiti od Elcesei. La setta si sviluppava nel corso del III secolo, durante il quale si estese fino a Roma, e durò fin verso il IV secolo quando scomparve. Le dottrine degli E. si basavano sull’Antico Testamento, ma soprattutto sul Libro della Rivelazione, scritto dal fondatore Elxai od Elcasai, fede in Dio, nel Figlio e nello Spirito Santo (quest’ultimo sotto forma femminile, secondo talune teorie pneumatologiche orientalizzanti). Sostenevano che il Battesimo, in quanto rito di purificazione, potesse essere praticato più volte, e la loro dottrina conteneva anche diversi elementi magici ed esoterici.
Eldorado: In tutti gli alberghi di Bogotà, in Colombia, è esposto un cartello che invita i turisti a visitare l’E.. Il costo del viaggio in Taxi verde (un’autopubblica locale riservata ad escursioni turistiche) non è elevato, ma chi decidesse di compierlo subirebbe comunque una delusione. Ciò che i tassisti mostreranno, dopo aver accompagnato i turisti a tre o quattro ore fuori dalla città, non è una leggendaria città d’oro, bensì un lago chiamato Guatavita. Non si tratta neppure del vero lago, ma di uno specchio d’acqua artificiale creato da una diga sul fiume Tominè.
Nemmeno il paese di Guatavita è “vero”; si tratta infatti di una moderna ricostruzione in stile “Porto Cervo”, ovvero di un piccolo centro che ora giace sotto le acque del bacino. Il vero lago di Guatavita si trova “più sopra”, a qualche ora di cammino, e non è particolarmente interessante da vedere. In effetti non lo è: dopo una lunga, salita resa ancor più faticosa dall’aria rarefatta dell’altopiano andino, potrete vedere un laghetto molte volte meno spettacolare di quello di Carezza e molte volte meno inquietante di quello di Bolsena. Eppure qui si celebrava, secoli fa, il rito dell’El Dorado, “Il dorato”, una cerimonia suggestiva che implicava effettivamente il sacrificio di una certa ricchezza, e che tuttavia non giustificava gli incredibili sforzi e l’enorme spargimento di sangue che riuscì a scatenare nel giro di pochi decenni.
Nei territori ora occupati dagli attuali Colombia, Perù e Ecuador, l’oro era un materiale, se non proprio comune, certo meno raro che in Europa. Più che per il suo valore monetario (determinato dalla maggiore o minore abbondanza di un prodotto) era apprezzato sia per la sua bellezza intrinseca sia per il suo significato simbolico. Combinando i quattro elementi (la roccia aurifera, ovvero la terra, l’acqua, il fuoco, l’aria), la materia grezza può trasformarsi in un metallo scintillante; così anche l’uomo, sfruttando correttamente le forze della natura, può passare dallo stadio primitivo a quello di essere superiore. A simboleggiare questo passaggio lo Zipa, grande sacerdote delle tribù dei Chibcha, interpretava una singolare cerimonia.
Completamente nudo, veniva ricoperto di una speciale resina chiamata Varniz de Pasto; quindi gli veniva soffiata addosso della polvere d’oro per mezzo di una piccola cerbottana. Così splendente e dorato (da cui il nome El Dorado) raggiungeva il centro del lago di Guatavita, e vi si immergeva quando il sole era allo zenit; in quel momento i suoi sudditi gettavano nelle acque oggetti votivi di ogni genere, spesso realizzati in oro. Nel 1520 il Conquistador Hernan Cortèz, tornato in Europa dopo la conquista del Messico, aveva descritto al re di Spagna la magnificenza dei Tesori di Montezuma: “Un disco a forma di sole, grande come la ruota di un carro e d’oro finissimo…Venti anatre d’oro di squisita fattura… Ornamenti a forma di cani, tigri, leoni, scimmie”. Un inventario che sembrava inesauribile, e che fece nascere la convinzione che esistesse una terra ove l’oro era comune come le rocce. Parallelamente, la notizia di un “uomo d’oro”, l’E., cominciava a ingigantirsi e ad assumere toni di leggenda. Ben presto si spargeva la voce che in Sudamerica o in America Centrale si trovava un territorio chiamato E., ove le strade ed i tetti delle case erano lastricati del prezioso metallo.
Tra il 1529 e il 1616 sei diverse spedizioni (guidate da Ambrosius Dalfinger, Nicolaus Federmann, Georg Hohermuth, Sebastian de Belalcazar, Gonzalo Jimenez de Quesada e Walter Raleigh), partirono alla ricerca di inesistenti città d’oro (a E. si era aggiunta Ma-Noa, mitica “isola in un gran lago salato”). Centinaia e centinaia di indios furono torturati e uccisi perché rivelassero ciò che non sapevano; centinaia di conquistadores persero invano la vita nella foresta o sugli impervi sentieri andini. Il sogno dell’E. continua ancora in tempi più recenti. Nel 1927 il colonnello Percy FAWCETT perì misteriosamente in Mato Grosso (Brasile) durante la ricerca della misteriosa Zeta, una città posta in cima a una montagna, che l’esploratore inglese identificava non soltanto come il regno dell’Uomo Dorato, ma anche come una colonia avanzata di Atlantide.
Eleggibilità dei Membri di Giunta: Possono essere eletti Membri Effettivi di Giunta i Fratelli che abbiano non meno di sette anni di anzianità nel Grado di maestro, e che abbiano rivestito la carida di Maestro Venerabile per almeno un anno. L’elezione avviene con le stesse modalità previste per l’elezione del Gran Maestro (Art. 35 Co.).
Eleggibilità del Gran Maestro: Può essere eletto Gran Maestro il Fratello che abbia non meno di sette anni di anzianità nel Grado di Maestro, e che abbia rivestito la carica di Maestro Venerabile per almeno un anno. Il G.M. viene eletto a suffragio universale da tutti i Fratelli Maestri della Comunione riuniti nelle rispettive Logge. La Gran Loggia procede ad elezione di ballottaggio fra i due candidati che abbiano riportato il meggior numero di voti, ove nessuno abbia conseguito il cinquanta per cento più uno dei voti. Il G.M. dura in carica cinque anni, e non è rieleggibile nel quinquennio successivo. Il Regolamento dell’Ordine determina le modalità della candidatura e dell’elezione (Art. 30 della Costituzione dell’Ordine).