a divinazione ai tempi dell’antica Roma assolveva a funzioni ben distinte e la più importante era la l’arte augurale che a quei tempi era ritenuta una vera e propria scienza.
Consisteva nell’osservare gli eventi naturali dal tuono all’eclissi, il volo degli uccelli e il loro comportamento e altri fattori per poi, attraverso questi auguri, ottenre l’approvazione divina in relazione alle azioni che dovevano intraprendere capi di stato, politici e militari.
Arrivavano al punto che se gli auguri risultavano negativi, sia le battaglie che le elezioni, le consacrazioni o dichiarazioni di guerra, venivano sospese e aspettavano diventassero propizie prima di intraprenderle.
I sacerdoti avevano il potere di influenzare pesantemente le azioni degli uomini, dei cittadini e della politica, non chè il destino di intere comunità. Gli auguri degli antichi romani basavano molte delle loro pratiche sulla più antica civiltà e credenze etrusche.
Queste erano state trasmesse oralmente da una generazione all’altra e con il tempo vennero ufficializzate nella Roma antica. Vi fu l’istituzione di un “collegio sacerdotale” che insieme al pontefice massimo amministrava le cerimonie pubbliche. Inoltre custodivano i libri sibillini dove erano raccolte le antiche profezie.
La lettura di queste veniva registrata e gli esiti tenuti archiviati in posti segreti. Gli auspici, o auguri, venivano ottenuti andando con un magistrato in un luogo all’aperto. L’indovino, se così possiamo chiamarlo, vi arrivava bendato, il magistrato riferiva cosa vedeva e in base a questo venivano formulati gli auguri dall’indovino bendato.
I fulmini, in questo genere di divinazione, rappresentavano Giove, padre di tutti gli dei, e venivano interpretati a seconda di come solcavano il cielo. Se venivano da est erano favorevoli, se da ovest minacciosi.
I più sinistri erano quelli che arrivavano da nord, ma i più temuti quelli di nord ovest, forieri di notizie veramente funeste. Si narrava che un fulmine avesse colpito la statua di Cesare Augusto e avesse bruciato la lettera “C” iniziale.
Come numero romano queta rappresentava il cento e i suoi augri affermarono che sarebbe vissuto soltanto altri cento giorni. Fu esattamente così.