Il boia consigliò a Junius di confessare inventandosi storie che mettessero fine alle sue sofferenze e martoriato nel fisico e nello spirito il borgomastro finì per farlo. Anche questo scrisse nella lettera alla figlia, come se volesse chidere perdono per aver confessato il falso e aver messo nei guai altre persone.
Ma era una catena in cui anche lui era finito a causa delle false confessioni delle donne torturate prima di lui. Junius disse d’essere stato irretito da una donna demone e di aver giurato fedeltà al diavolo, di essere andato con le streghe ai sabba e cavalcato un cane nero volante.
Queste sue confessioni non bastarono e fu torturato nuovamente, così affermò d’aver cercato di uccidere i suoi figli e continuò a inventare orribiltà nella speranza di cavarsela. Poi gli chiesero di fare i nomi di chi era con lui.
Nel chiederglieli gli fecero capire fin troppo bene quali fossero quelli che volevano sentirsi dire e ormai alla fine della resistenza il capomastro li fece per poi sentirsi terribilmente in colpa per aver mandato a morte certa altri innocenti come lui.
Junius confessò le sue azioni alla figlia dicendole anche che, chi lo aveva accusato ingiustamente, prima di essere giustiziato gli aveva chiesto scusa, spiegandogli che l’aveva fatto solamente per sottrarsi ad altre torture. Come del resto aveva in seguito fatto anche lui.
Era così che le persecuzioni e le esecuzioni andavano avanti, in una sorta di lunga catena in cui i primi acusavano i secondi e così via, nella speranza di poter essere lasciati stare, oppure anche di essere uccisi senza dover patire altre sofferenze. Junius riuscì a finire di scrivere la lettera alla figlia Veronica e concluse dicendosi più che certo che non l’avrebbe mai più rivista, difatti fu ucciso. Il capomastro sapeva bene che in ogni caso la sua fine era inevitabile, era quella che toccava a tutti, prima e dopo di lui. Quando si finiva per essere accusati di stregoneria niente poteva salvarti.
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