Per gli Indù l’esistenza terrena di ogni uomo, o meglio, spirito, è un susseguirsi di vite, un viaggio dell’anima che utilizza il corpo per apprendere la conoscenza. Secondo loro l’anima può incarnarsi sia in un corpo di uomo che di animale. Al ciclo di nascita, vita e morte si pone termine solamente con l’illuminazione.
A questo punto l’anima si ricongiunge all’anima eterna ed universale. Il luogo privilegiato per raggiungere l’illuminazione è la città santa di Varanasi, a nord dell’India. Questa era ritenuta l’abitazione del dio Shiva e il luogo dove, dalla crosta terrestre sarebbe emersa la colonna di luce depositaria di tutti i segreti della trascendenza.
L’importanza della città è anche sottolineata dalla sua posizione, sulle sponde del sacro fiume, il Gange. Purificarsi nelle acque del fiume sacro a Varanasi oppure bere l’acqua del fiume proprio in quel punto, toglie i peccati della vita presente, che si sta vivendo, o anche di quelle passate, le sue sponde sono per questo disseminate di templi e scalinate che conducono all’acqua.
Sono migliaia e migliaia i pellegrini che vengono attratti da questi luoghi sacri. Chi può fa in modo di morire a Varanasi, o di farsi cremare, credendo che questo possa portare alla moksa, ovvero alla liberazione eterna dal ciclo delle reincarnazioni. Sono decine di migliaia i cadaveri che ogni anno vengono arsi al rogo a Varanasi, difatti pare che la liberazione eterna sia possibile solamente per chi muore lì.
SI narra nache che, al momento della morte, sia proprio il dio Shiva a sussurrare all’orecchio del morente un sacro verso mantrico che gli dà la chiave della luce eterna. Per questo sono tantissime le pesrone che rimangono lì, in capanne e modesti ricoveri aspettando la morte e di sentire la voce segreta che li liberi dalla mora dello spazio e del tempo.
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