Oggi continueremo la quarta parte dell’Inno a Nettuno. Quest’inno ha una storia particolare; tradotto e pubblicato da Giacomo Leopardi, non si seppe mai l’autore. Molti esperiti di quel tempo, editori e scrittori, supposero che fu lo stesso Leopardi a scriverlo e poi a fingere di averlo scoperto, un modo per infondere quel margine di mistero nell’inno, per far si diventasse famoso.
“Qual però de le ninfe a te dilette,
Signor del mare, io canterò? La figlia
Di Nereo forse e Doride, Anfitrite?
O libia chiomi-bella, o Menalippe
Alto-succinta, o Alòper, o Calliròe
Di rosee guance, e la leggiadra Alcione,
O Ippotoe, o Mecionice, o di Pitteo
La figlia, Etra occhi-nera, o Chione, od Olbia,
O l’Eolide Canace, o Toosa
Dal vago piede, o la Telchine Alia,
Od Amimone candida, o la figlia
D’Epidanno, Melissa? E chi potrebbe
Tutte nomarle? E a noverar chi basta
I figli tuoi? Cercion feroce, Eufemo,
Il Tessalo Triòpe, Astaco e Rodo,
Onde nome ha del Sol l’Isola sacra,
E Tèseo ed Alirrozio ed il possente
Triton, Dirrachio e il battaglioso Eurnolpo
E Polifemo a nume ugual. Ma questo
Canto è meglio lasciar, che spesso i figli
Cgion furono a te d’acerbo lutto.
Polifemo de l’occhio il saggio Ulisse
In Trinacria fe cieco: Eumolpo spense
In Attica Eretteo: ma ben vendetta
Tu ne prendesti, o Scoti-terra, e morto
Lui con un colpo tridente, al suolo
La case né gettasti. E Marte istesso
Impunemente non t’uccise il figlio
Alirrozio leggiadro: i numi tutti
Lui concordi daonar’. Salve, o Nettuno
Ampio-possente: a te gl’Istmici ludi
E le corse de’cocchi e de gli atleti
Son sacre, e l’aspre lotte: e neri tori
In Trezene, in Gersesto, e in cento grandi
Città di Grecia ogni anno a l’are tue
Cadono innanzi; e ne la Dorte’Istmo
Vittime in folla, traggono al Tuo tempio
Le allegre turbe. O salve azzurro Dio”…