Oggi continueremo a leggere l’Inno di Nettuno scoperto e tradotto da Giacomo Leopardi. L’autore dell’inno rimane ad oggi sconosciuta. Godetevi in piccoli pezzi questo meravigliosa dedica al Dio greco del mare, così antica quanto il Dio.
“Su le ginocchia piangendo, e preghi
Porse a la Terra e a lo stellato Cielo:
O Terra veneranda, O Cielo padre,
Deh riguardate a me, se pure è vero
Che di voi nacqui, e questo figlio mio
Da l’ira di Saturno astuto nume
Or mi salvate, sì ch’egli nol veda,
E questi ben ricresca e venga adulto.
Così pregava Rea di belle chiome,
Poi che per te di fresco nato, in core
Sentia gran tema: e per gli eccelsi monti
Ed il profondo mare errando giva
L’eco romoreggiante. Udilla il Cielo
E la feconda Terra, e nera Notte
Venne sul bosco, e si sedè sul monte.
Ammutarono a un tratto e sbigottiro
I volatori de la selva, e intorno
Con l’ali stese s’aggir vicino
Al basso suol. Ma t’accogliea ben tosto
La Diva Terra fra sue grandi braccia;
Nè Saturno il sapea, chè nera Notte
Era su la montagna. E tu crescevi,
Re dal tridente d’oro, ed in robusta
Giovinezza venivi. Allor che voi
Di Rea leggiadra figli e di Saturno,
Tutto fra voi partiste, ebbesi Giove,
Che i nembi aduna, lo stellato Cielo;
Il mar ceruleo tu; s’ebbe Plutone
De l’Averno le tenebre. Ma tutti
Tu de la terra scotitor vincevi,
Salvo Giove e Minerva. E chi potrebbe
Con l’Olimpio cozzare impunemente?
Il cielo tu lasciasti, e teco il figlio
De la bianca Latona in terra scese:
Ed al superbo Laomedonte alzavi
Tu dell’ampio Ilion le sacre mura;
Mentre ne’ boschi opachi e ne le valli
De l’Ida nuvolosa i neri armenti”…