Le origini del concetto di reincarnazione non sono chiare, o meglio, non ci sono moltissimi antichi scritti che ne parlano, bisogna però anche dire che una volta tutto era trasmesso oralmente e quindi non si possono avere dati certi.
Il passato e la storia vengono ricostruiti a ritroso utilizzando i documenti che sono pervenuti fino a noi che possono essere solo una parte della verità o anche tendenziosi perchè scritti in genere da una persona che aveva un suo punto di vista e credeva in sue convinzioni. Lo stesso vale per la religione.
I primi testi che parlano di reincarnazione risalgono circa al VI secolo a.C. Qualcuno sostiene che sia stato il Buddah ad introdurre questo concetto, altri che si sia presentato alla fine del periodo vedico, quello cosiddetto bramino.
In Grecia il concetto è stato introdotto da Ferecide di Siro e Pitagora e poi diffuso da Platone, ma anche l’Orfismo parlava di reincarnazione. Per quanto riguarda il buddismo pare che in alcuni testi vengano discussi alcuni modi per rintracciare le proprie vite passate.
Il passato dell’uomo, almeno negli ultimi duemila e cinquecento anni è costellato di persone e religioni che hanno sostenuto la tesi dell’anima che, alla morte del corpo materiale, lo abbandona per andare a trovarsi una nuova dimora per portare avanti un più vasto “cerchio della vita“.
Ma quante vite viviamo? E siamo nati? E quando? Per alcuni si vive un’esistenza dietro l’altra fino a raggiungere una condizione di pace spirituale dove tutto è chiaro e a quel punto non ci si reincarna più. Ma allora cosa si fa?
Secondo Platone le anime sono indistruttibili, per cui immortali quindi continueranno ad abitare un corpo una vita dietro l’altra e nel caso del Buddismo, ad esempio, finiro il ciclo della reincarnazione andranno da qualche altra parte. Questo è un argomento tanto complesso e vasto da richiedere una ricerca più approfondita. (continua)